Quando nel lontano 1970 il progettista della nota casa americana Celestron J. Johnson trovò il sistema di produrre in serie ad un costo contenuto il telescopio con schema ottico Schmidt-Cassegrain, fu sicuramente una vera festa per tutto il mondo astrofilo. Il successo del progetto fu mondiale e fece la fortuna della Celestron che ovviamente brevettò il sistema costruttivo della lavorazione dell’elemento fondamentale e più critico; la lastra correttrice. Quando sul finire degli anni settanta cominciarono a vedersi le prime pubblicità del C8C8 classic sulle riviste italiane del tempo, si aveva la netta sensazione che possedere un tale strumento sarebbe stato il sogno di ogni astrofilo. Il prezzo a cui era offerto dalla “Prodotti Gianni”, (poi Auriga), non era di certo basso e lo strumento (su montatura equatoriale a forcella), era appannaggio dei più facoltosi. Dopo dieci anni il successo non declinava tanto che pure la californiana Meade si decise a fabbricare i suoi Meade 2080, da sempre unici antagonisti ai C8 dopo che qualche altra ditta non abbastanza forte provò a conquistare inutilmente parte del mercato come Criterion con il suo Dinamax. Prima di affrontare un discorso comparativo tra gli eterni rivali, è opportuno presentare le caratteristiche salienti di questo schema ottico divenuto, grazie alle due potenti ditte statunitensi, il più famoso ed utilizzato in campo amatoriale.
Lo strumento di tipo Schmidt è aplanatico, anastigmatico e ortoscopico, cioè fornisce immagini corrette da coma, aberrazione sferica e cromatica, da astigmatismo e da distorsione. Le immagini formate al fuoco sono praticamente perfette (ovviamente entro un certo e sempre limitato piano focale), a condizione che lo schema ottico resti quello originario ideato da Bernard Schmidt.
Ad una distanza pari a due volte il fuoco (sul raggio di curvatura) di uno specchio sferico è posta una lastra asferica di IV grado (il cui profilo teorico è generabile da una quadrica di rivoluzione sull’asse) che genera un’aberrazione sferica contraria a quella dello specchio, correggendola sul fuoco. Il cui diametro sarà inferiore allo specchio in funzione del campo corretto (e quindi dell’uso al quale lo strumento sarà destinato) che si vorrà ottenere.
Nelle combinazioni Cassegrain è prevista l’interposizione, tra i due elementi ottici e un po’ prima del fuoco dello specchio primario, di uno specchio convesso che moltiplica la sua corta focale e trasferisce il fuoco equivalente, di solito, dietro di esso. Nei casi in esame da circa f/2 a f/10.
Da quanto descritto si intuisce che lo schema adottato dai due telescopi in esame si discosta da quello ideale, con delle conseguenze sulla qualità delle immagini non del tutto trascurabili. La più palese differenza riguarda la distanza tra specchio e lastra. Meade e Celestron utilizzano la variante di Wright, che prevede la lastra nei pressi del piano focale dello specchio primario con una potenza (in termini di correzione dell’aberrazione sferica) doppia rispetto ad una lastra posta nella posizione classica.
Anche le dimensioni sono esagerate rispetto al diametro dello specchio; in sostanza, per non perdere luminosità e per non eccedere nell’ostruzione, i progettisti hanno optato per trascurare il diaframma previsto da Schmidt (costituito nello specifico dalla differenza di diametro tra specchio e relativa lastra). Realizzando così la lastra praticamente dello stesso diametro dello specchio e tollerando così un non trascurabile coma, già evidente non troppo lontano dal centro del campo focale.
L’innegabile vantaggio di tale scelta è quello di accorciare sensibilmente la lunghezza del tubo ottico con ovvi vantaggi in termini di leggerezza e facilità di trasporto, caratteristiche che rappresentano un punto di forza di questi modelli e una delle qualità che li hanno resi diffusissimi tra gli amatori.
Apparentemente i due modelli sembrano uguali, ma presentano alcune differenze costruttive:
La prima differenza è secondo me la più saliente e si manifesta nella resa fotografica al fuoco diretto, dove le stelle al bordo del fotogramma 24x36 sono meno affette da coma nel Meade 2080. La sua leggera ostruzione in più non costituisce una differenza apprezzabile o misurabile in termini di contrasto e perdita di risoluzione (che è già abbastanza compromessa in tutti gli strumenti a specchi con ostruzione maggiore del 25%).
Per quanto riguarda la resa ottica delle due serie di strumenti, in perenne concorrenza tra loro, ritengo si debbano fare alcune doverose premesse: la produzione di serie permette un abbattimento dei costi, ma non garantisce uno standard qualitativo elevato. In un vecchio opuscolo di presentazione dei propri prodotti, la Celestron reclamizzava le sue ottiche a 1/10 lambda, affermazione poco credibile, tanto che nessuno ha mai avallato una simile dichiarazione (nemmeno più la stessa Celestron).
Inoltre, è fondamentalmente vero che la produzione in serie non può garantire una uniformità di resa ottica su tutti gli strumenti prodotti, per cui si può incappare in qualche modello che non presenta una sufficiente qualità ottica rispetto ad altri della stessa serie.
Una prestigiosa rivista straniera ha testato vari modelli di questi SC con una sofisticata attrezzatura basata sul reticolo di Ronchi; dai risultati è emerso che le ottiche Celestron appaiono leggermente più corrette, le righe di diffrazione appaiono dritte anche se i loro bordi sono generalmente più “accidentati, o rugosi”, mentre le ottiche Meade sono più lisce.
Marco Di Biase